Grazie all’intervento della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittima la disciplina transitoria che aveva introdotto garanzie per le sole procedure iniziate dopo il 27 giugno 2015.
Ci sono spiragli per il recupero delle somme frattanto pignorate?
Con la sentenza n. 12/2019, depositata lo scorso 31 gennaio, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della normativa transitoria del 2015 che limita la pignorabilità dei trattamenti previdenziali solo per le procedure esecutive iniziate dopo il 27 giugno 2015, data di entrata in vigore della modifica al Codice di procedura civile (che aveva appunto introdotto questa garanzia oltre che per le pensioni, anche per stipendi ed indennità varie).
Nel 2015 il legislatore apportò alcune modifiche al Codice di procedura civile ed introdusse limiti alla pignorabilità delle somme dovute a titolo di stipendio, salario, altre indennità relative a rapporti di lavoro o di impiego (comprese quelle dovute a causa di licenziamento), a titolo di pensione, di indennità che sostituiscono la pensione, o di assegni di quiescenza, in caso di accredito su conto bancario o postale intestato al debitore.
Fu prevista la pignorabilità di queste somme solo per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale, in caso di accredito in data antecedente al pignoramento.
L’intervento della Corte Costituzionale è stato richiesto dal Tribunale di Brescia, che ha posto la questione di legittimità costituzionale circa la disciplina transitoria delle misure a tutela di pensioni e stipendi: il pacchetto di tutele infatti scatta solo per le procedure di pignoramento successive al 27 giugno 2015, data di entrata in vigore delle modifiche al Codice di procedura civile. Il caso riguardava un pensionato titolare solo dell’assegno sociale.
La Corte, pur riconoscendo la giustificabilità delle intenzioni del legislatore, vale a dire la salvaguardia dell’affidamento della certezza giuridica per chi abbia avviato una procedura esecutiva sulla base delle regole precedenti che non prevedevano questi limiti, ha inteso però bilanciare gli interessi in gioco e pertanto ha inteso far prevalere la protezione dei pensionati.
Per la Corte Costituzionale, quindi, la prevalenza dell’interesse alla protezione del pensionato, giustifica l’applicazione retroattiva delle misure più favorevoli.
Già precedentemente (sentenza n. 83/2015) la Corte aveva sostenuto la necessità che l’Ordinamento adottasse un rimedio per assicurare condizioni di vita minime ai pensionati, rimedio che però non poteva essere introdotto da una sentenza additiva.
Per la Corte Costituzionale, che ha colto il richiamo che il rimettente ha fatto proprio della sentenza n. 83/2015, la questione merita accoglimento con riferimento al principio costituzionale di eguaglianza, che nel caso di specie trova attuazione mediante l’impignorabilità parziale dei trattamenti pensionistici (a tutela dell’interesse di natura pubblicistica consistente nel garantire al pensionato i mezzi adeguati alle proprie esigenze di vita).
La Corte ha concluso sostenendo che “nel contesto in cui il legislatore – ottemperando al monito di questa Corte – ha effettivamente esercitato la sua discrezionalità al fine di garantire la necessaria tutela al pensionato che fruisce dell’accredito sul proprio conto corrente, risulta irragionevole che tale tutela non sia estesa alle situazioni pendenti al momento dell’entrata in vigore della novella legislativa”, così estendendo retroattivamente le tutele a tutti coloro che beneficiano dell’assegno minimo.
La decisione della Corte, per i principi espressi, potrebbe consentire il recupero delle somme frattanto pignorate al di sotto dei limiti di legge.
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