Mentre in primo grado la questione non era stata trattata, poiché assorbita dalla soluzione di altre domande, i giudici di appello hanno ritenuto di dover affrontare il tema della sorte degli atti compiuti in forza di negozi invalidi. La sentenza di secondo grado aveva qualificato tali atti “in frode alla legge”, poiché elusivi delle previsioni normative, con la conseguenza che essi dovevano ritenersi “del tutto invalidi” attesa la loro “radicale nullità”, senza alcuna possibilità di sanatoria (che era stata dalla parte invano ricercata nel venir meno del vincolo di inalienabilità del fondo allo spirare del trentesimo anno).
Per la Cassazione, la fattispecie di invalidità prevista dal Legislatore configura una ipotesi di annullabilità assoluta, essendo l’iniziativa finalizzata alla sua declaratoria rimessa oltre che alle parti, all’ente che ha proceduto all’assegnazione e a chiunque vi abbia interesse, e ciò anche in considerazione del fatto che l’interesse perseguito dalla norma e a tutela del quale la sanzione è prevista va ben al di là delle sfere giuridiche individuali dei contraenti.
Nullità ed annullabilità sono le due ipotesi di invalidità negoziale disciplinate dal nostro Codice cui si ricollegano discipline, finalità e conseguenze differenti fra loro.
La nullità, che comporta la assoluta inefficacia del negozio in quanto viziato sotto il profilo strutturale, tutelando interessi “superindividuali”, può essere invocata non solo da qualsiasi soggetto interessato, ma anche dal giudice che sia stato chiamato a decidere su questioni e circostanze che presuppongono la validità di un contratto.
Si ha invece annullabilità quando un contratto, pur non affetto da patologie strutturali, presenta vizi diversi sotto il profilo della volontà (errore, dolo, violenza) o della capacità. In questo caso, essendo tutelati interessi personali ed individuali, è lasciata all’iniziativa delle parti l’eliminazione degli effetti del negozio non valido.
Nel caso in analisi la Cassazione riprende la nozione di “annullabilità assoluta” che, rispetto al genere “tradizionale”, copre una gamma più ampia di interessi da tutelare e, conseguentemente, si differenzia anche sotto il profilo della vastità della platea di soggetti da cui può essere invocata.
Per opinione comune, la “rilevanza privatistica” della disposizione contenuta all’art. 1441 cod. civ. risulta affievolita, poiché a farne uso non sono soltanto coloro i quali sono portatori di interessi personali ed individuali connessi ad un determinato negozio giuridico (le parti), ma anche altri soggetti che si vedono riconosciuti interessi, facoltà, poteri o veri e propri doveri di tutela di ciò che è contenuto nella legge (ad esempio, come nel caso di specie, da una disposizione normativa). E non a caso taluni interpreti, con riferimento al concetto di “annullabilità assoluta”, hanno parlato della possibilità di agire da parte di chi, soggetto ulteriore rispetto alle parti di un determinato rapporto, può dirsi comunque titolare di un interesse ad agire in base alle norme processuali.
Per ciò che qui ci riguarda, l’annullabilità di ogni atto violativo dell’art. 4 della legge n. 379/1967 è posta a salvaguardia non solo degli interessi particolari dei singoli, ma anche di interessi di carattere superiore, come ben espresso in altro e più risalente precedente: “scopo della legge è quello di assicurare che il fondo non sia in alcun modo sottratto alla sua specifica destinazione, che è quella della coltivazione e del miglioramento produttivo, mediante lo svolgimento dell’attività lavorativa personale e diretta dell’assegnatario, scelto dall’ente in esito ad un procedimento amministrativo tra soggetti in possesso di determinati requisiti” (Cass. III Civ., 16.3.1985, n. 2022).
Secondo Cass. I Civ., 24.8.1993, n. 8918, “mentre l’annullabilità relativa è disposta a tutela dell’interesse privato, ossia del soggetto che sarebbe danneggiato dal negozio, sicché l’annullabilità si concreta in una misura posta essenzialmente a difesa del soggetto incapace ed opera al fine di evitare che l’altro contraente tragga vantaggio dallo stato di incapacità non fatto valere dall’interessato, l'”annullabilità-sanzione” tutela l’interesse generale con la conseguenza che chiunque può farla valere”.
Il negozio affetto da annullabilità (“relativa”) è dotato di efficacia provvisoria, che può essere resa stabile per mezzo di convalida (avente l’effetto sostanziale della rinuncia all’azione di annullamento), in quanto modalità di espressione dell’autonomia contrattuale delle parti. Ciò invece non può verificarsi nell’ipotesi in cui un negozio sia affetto da annullabilità assoluta poiché, come conclude Cass. II Civ., 20.6.2017, n. 15268 (ma precedentemente anche Cass. II Civ., 25.6.2012, n. 10577), “laddove si verta in un’ipotesi di annullabilità assoluta, così come evidenziato dalla più accorta dottrina, la convalida risulta impedita, non solo e non tanto per la necessità che la convalida sia attuata da tutti i soggetti investiti della legittimazione a far valere l’annullabilità, ma altresì in ragione della finalità della sanzione che è posta a tutela di interessi di natura diversa da quelli dei soli contraenti, essendo quindi preclusa la possibilità di valutare la conformità dell’assetto programmato al proprio interesse reale, in funzione del quale è appunto conferito il potere di convalida”.
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